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E’ la vita reale ad influenzare i social network o sono i social ad influenzare la vita reale? Il dibattito è sempre più intricato e, nelle ultime ore, il Dipartimento di Sicurezza USA ha fornito un nuovo spunto di discussione. Una nuova policy del dipartimento di Stato statunitense – entrata in vigore venerdì 31 maggio – prevede infatti che chiunque faccia richiesta di un visto per entrare negli Stati Uniti fornisca informazioni sul suo profilo reale (nazionalità, età, stato civile etc.) ma anche sul suo profilo digitale.

Controlli sul profilo Digitale
Il nuovo provvedimento prevede infatti che tutti coloro che richiedono un visto per gli USA devono elencare i propri username, cioè i propri identificativi degli eventuali account aperti e gestiti sui social network negli ultimi cinque anni. Fra le piattaforme elencate ce ne sono al momento venti: si va da Facebook a Instagram passando per LinkedIn, la russa Vkontakte, YouTube, Ask.fm, le già citate cinesi a cui va aggiunta Youku, le ormai scomparse Vine e Google+, Reddit, Pinterest e perfino MySpace. Una volta selezionata la piattaforma, all’interno dei moduli elettronici viene abilitata una casella per inserire il nome utente scelto per utilizzarla. Non serve indicare account a gestione multipla, come per esempio quelli di un’azienda. Insieme a queste informazioni, si devono comunicare anche i numeri di telefono ed eventuali indirizzi email precedentemente utilizzati.

Più sicurezza o meno privacy?
La nuova policy del dipartimento di Stato statunitense è figlia diretta dell’ordine esecutivo “Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into the United States” approvato nel marzo 2017 direttamente da Donald Trump. Il presidente aveva richiesto ai vertici della sicurezza del Paese di uniformare e stringere le maglie per le procedure di controllo alle frontiere. Fra i numerosi provvedimenti rientra dunque anche la più attenta analisi sulla vita digitale dei viaggiatori. A una prima stima, la misura potrebbe riguardare circa 15 milioni di persone, compresi i visti per affari e per motivi di studio. C’è ovviamente la possibilità di dichiarare che non si possiede alcuna propaggine digitale. Ma se si dovesse mentire, assicurano dal dipartimento, se ne pagherebbero “serie conseguenze” in termini di provvedimenti migratori. Dall’obbligo rimangono esclusi solo i visti diplomatici e certi tipi di autorizzazioni ufficiali.

I nuovi controlli sull’identità digitali disposti da Trump sono ben più rigidi di quelli stabiliti da Barack Obama, quando l’indicazione dei social era facoltativa. Ovviamente, la nuova misura ha subito sollevato le proteste di numerose organizzazioni per i diritti civili, a partire dalla American Civil Liberties Union che già lo scorso anno aveva spiegato come il provvedimento fosse “pericoloso ed estremamente problematico” perché non esiste alcuna certezza dell’efficacia di questo monitoraggio né alcuna indicazione chiara su chi, come e cosa stabilirà il peso della valutazione dei social ai fini della concessione di un visto. “C’è un rischio reale che l’analisi dei social media colpisca in modo ingiusto immigrati e viaggiatori da Paesi a maggioranza musulmana con dinieghi discriminatori dei visti, senza che questo porti nulla alla sicurezza nazionale” ha spiegato Hina Shamsi, direttrice del National Security Project dell’Aclu.

Gestire accuratamente la propria identità sui social è ormai una prerogativa fondamentale per chiunque: aziende, attività commerciali ma anche professionisti e “semplici” cittadini che desiderano andare negli USA.

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